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LA MURGIA SVENTRATA E LA SCOMMESSA DEL PARCO
Ho letto con grande attenzione l’articolo di Carmela Formicola ‘La Murgia sventrata e la frontiera scomparsa’ traendone spunti di riflessione sul territorio che ho la fortuna di frequentare quotidianamente da quando, tre anni fa, sono stato nominato prima Commissario e poi Presidente del Parco Nazionale dell’Alta Murgia.
Nell’articolo è esposta una puntuale ricostruzione di quanto è avvenuto sull’Alta Murgia prima dell’istituzione del Parco Nazionale, nel 2004; lo spietramento, la proliferazione degli orridi capannoni industriali e il loro abbandono, lo sfruttamento delle cave hanno segnato profondamente il paesaggio come cicatrici.
L’istituzione del Parco ha posto un argine, entro e a ridosso dei propri confini, all’avanzata delle gru, all’invasione delle pale eoliche e dei megaimpianti fotovoltaici, a quel ‘pianto della scavatrice’ che Pier Paolo Pasolini – che proprio in questi giorni celebriamo sulla Murgia con un evento dedicato al suo ‘Vangelo’ - evocò per descrivere il suono stridente di un modello di sviluppo fondato sul cemento e sull’asfalto. Nel corso di questi dieci anni abbiamo lavorato alla conservazione del paesaggio, della biodiversità animale e vegetale, della qualità delle produzioni, segnando una discontinuità netta con le attività intraprese prima della nascita dell’area naturale protetta.
La valorizzazione di quella splendida biodiversità che ci è stata offerta in dono è al centro del nostro impegno quotidiano: il lino delle fate cresce silenziosamente nel Parco, lontano da occhi indiscreti, così come le oltre 30 specie di orchidee selvatiche autoctone; nell’Alta Murgia sono tornate e proliferano, tutelate, specie come il lupo e il falco grillaio che l’avevano abbandonata proprio a causa della presenza invasiva dell’uomo.
Nell’articolo è esposta una puntuale ricostruzione di quanto è avvenuto sull’Alta Murgia prima dell’istituzione del Parco Nazionale, nel 2004; lo spietramento, la proliferazione degli orridi capannoni industriali e il loro abbandono, lo sfruttamento delle cave hanno segnato profondamente il paesaggio come cicatrici.
L’istituzione del Parco ha posto un argine, entro e a ridosso dei propri confini, all’avanzata delle gru, all’invasione delle pale eoliche e dei megaimpianti fotovoltaici, a quel ‘pianto della scavatrice’ che Pier Paolo Pasolini – che proprio in questi giorni celebriamo sulla Murgia con un evento dedicato al suo ‘Vangelo’ - evocò per descrivere il suono stridente di un modello di sviluppo fondato sul cemento e sull’asfalto. Nel corso di questi dieci anni abbiamo lavorato alla conservazione del paesaggio, della biodiversità animale e vegetale, della qualità delle produzioni, segnando una discontinuità netta con le attività intraprese prima della nascita dell’area naturale protetta.
La valorizzazione di quella splendida biodiversità che ci è stata offerta in dono è al centro del nostro impegno quotidiano: il lino delle fate cresce silenziosamente nel Parco, lontano da occhi indiscreti, così come le oltre 30 specie di orchidee selvatiche autoctone; nell’Alta Murgia sono tornate e proliferano, tutelate, specie come il lupo e il falco grillaio che l’avevano abbandonata proprio a causa della presenza invasiva dell’uomo.
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